Rapporto tra ipovitaminosi D e infezione da Covid

Alcuni studi hanno evidenziato un possibile legame tra bassi livelli di vitamina D e rischio infettivo a carico delle vie aeree superiori da Covid. Questi documenti hanno indotto il gruppo di studio Gioseg (Glucocorticoid induced osteoporosis skeletal endocrinology group) ad elaborare un position paper su questo dibattito, soprattutto nella ipotesi di supplementare adeguatamente i livelli di vitamina D nella popolazione anziana risultata essere quella a maggior rischio di contagio nei riguardi del Covid. 

Una prima raccomandazione del documento è quella di proseguire negli eventuali trattamenti instaurati in soggetti  con condizione di ipovitaminosi D o che abbiano in atto trattamenti che richiedano un’integrazione, come farmaci anti-osteoporotici, steroidei, anti-epilettici, continuino o inizino ad assumere vitamina D.

Negli over 80 la supplementazione è suggerita a prescindere dai livelli circolanti circolante vitamina D. Si raccomanda, poi,  che gli over 65 di entrambi i sessi con comorbidità, come diabete o obesità, che predispongono all’ipovitaminosi D e al Covid-19 grave,  vengano attentamente valutati per il loro profilo di ipovitaminosi D con dosaggio della 25OHD; a tutti coloro che presentano livelli inferiori a 20 ng/ml andrebbe prescritta un’integrazione, preferibilmente nelle forme preattive, mentre quelle attive andrebbero riservate ai soggetti con grave insufficienza epatica o renale. Nei riguardi della posologia si raccomanda seguire le indicazioni delle linee guida e note AIFA per il trattamento della ipovitaminosi D, con l'eccezione della popolazione obesa che si ritiene debba essere trattata con dosaggi maggiori. Ultima raccomandazione tende ad escludere, stante l'assenza di dati certi, la somministrazione di integrazione con vitamina D a soggetti ricoverati per infezione da Covid.