CoVid-19 e terapia anti-ipertensiva: nuovi elementi

Fino dalle prime avvisaglie della attuale pandemia è apparso evidente come la presenza di comorbidità aumentasse in maniera esponenziale il rischio di eventi fatali, stante la prevalenza fra i soggetti deceduti in Italia di ipertensione arteriosa (69.7%), cardiocerebrovasculopatia (38.3%) e/o insufficienza renale cronica (21.4%), ove ovviamente molti tra questi pazienti deceduti erano in terapia con ACE-inibitori oppure con sartani.

Questa osservazione ha scatenato il dibattito sulla possibile influenza negativa dei farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina sulla patogenicità e letalità del coronavirus responsabile di COVID-19, il SARS-CoV-2. Questo nuovo coronavirus, infatti, è dotato sulla propria superficie di una proteina, detta proteina S (da spike protein) che lega l’enzima ACE2, usandolo come proprio recettore di ingresso. Ciò avviene grazie ad una serina proteasi, la transmembrane protease serine (TMPRSS)-2, che è parte dello stesso ACE2. E’ proprio TMPRSS2, infatti, che distacca la sub-unità S1 dalla proteina S virale e permette alla rimanente sub-unità, denominata S2, di far penetrare SARS-CoV-2 nella cellula.

Sia gli ACE-inibitori che i sartani possono favorire l’espressione di ACE2, da cui la suggestione che il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone possa favorire l’ingresso del virus nel nostro apparato respiratorio. In contrasto con questa ipotesi, in atto solo speculativa, è la non univocità dei dati sperimentali ed il ruolo protettivo che ACE2 svolgerebbe nei confronti della flogosi polmonare. Tale ruolo, in particolare, ha fatto suggerire ad alcuni la possibilità che gli stessi antagonisti del sistema renina-angiotensina-aldosterone possano, da un lato, favorire l’espressione di ACE2, “porta di ingresso” di SARS-CoV-2, ma, dall’altro, simultaneamente proteggere il polmone.

Nell'attuale contesto, a meno di specifiche ed ovvie situazioni limitanti la prescrizione e/o l’assunzione di farmaci antiipertensivi attivi per via orale, la classe di farmaci che sembra essere preferibile per proseguire il trattamento antiipertensivo èquella dei calcioantagonisti diidropiridinici. Un possibile approccio pratico, ne consegue, fermo restando che nel paziente affetto da una forma severa di COVID-19, in genere, la terapia con antiipertensivi viene pro tempore interrotta per ovvi motivi; potrebbe essere quello riassunto di seguito: 

  1. Il paziente – affetto da COVID-19, sospetto per COVID-19 oppure solo potenzialmente contagiabile – è già in terapia con ACE-inibitori o sartani: proseguire il trattamento 
  2. Il paziente – affetto da COVID-19, sospetto per COVID-19 oppure solo potenzialmente contagiabile – è già in terapia con ACE-inibitori o sartani, ma deve sospendere il trattamento per motivi non correlati a COVID-19 oppure è irremovibile nel chiedere la sospensione del trattamento: sostituire l’antiipertensivo, preferenzialmente con un calcio-antagonista diidropiridinico .Il testo originale dell'articolo è disponibile qui.