Aggiornate le linee guida americane sullo scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta

Le ultime linee guida relative al trattamento dello scompenso cardiaco risalgono ormai al 2016 per quanto riguarda quelle della società europea di cardiologia, mentre sono del 2017 quelle pubblicate dalle società americane. Da allora, sono stati introdotti nella pratica clinica nuove terapie, di grande efficacia, che hanno cambiato l’approccio al paziente con scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta, come gli inibitori della neprilisina (ARNI sacubitril/valsartan), gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio (SGLT2) e il trattamento percutaneo dell’insufficienza valvolare mitralica secondaria. Disponibile sul sito del Journal of American College of Cardiology (JACC) un interessante update sul management del paziente scompensato, il cui scopo è rispondere ai seguenti dieci punti:

  1. Come iniziare, aggiungere o cambiare la terapia con i nuovi trattamenti per lo scompenso cardiaco a bassa frazione d’eiezione.
  2. Come raggiungere la terapia ottimale, data la presenza attuale di numerosi farmaci per lo scompenso cardiaco.
  3. Quando il paziente deve rivolgersi ad uno specialista di scompenso cardiaco.
  4. Come affrontare le sfide del coordinamento dell'assistenza.
  5. Come migliorare l’aderenza alle medicine
  6. Come comportarsi in caso di specifiche coorti come gli afro-americani, gli anziani e gli individui fragili.
  7. Come gestire i costi e l’accesso alle cure dello scompenso.
  8. Come gestire l’incremento della complessità dello scompenso cardiaco.
  9. Come gestire le comorbidità.
  10. Come integrare le cure palliative

Alcuni di questi aspetti sono organizzativi e si riferiscono al sistema statunitense.
Per quanto riguarda il primo punto, la terapia attuale dello scompenso cardiaco a bassa frazione d’eiezione (frazione d’eiezione=FE ≤40%), si basa sull’utilizzo di ARNI, inibitori del recettore dell’ angiotensina (ARBs), inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi), beta bloccanti, diuretici, ivabradina, idralazina/isosorbide dinitrato e antagonisti dell’aldosterone. Tutti, tranne la furosemide, riducono ospedalizzazione, i sintomi e migliorano la sopravvivenza. Gli ARNI sono stati una grande rivelazione, in quanto sono in grado di migliorare in modo notevole la prognosi e la sintomatologia del paziente. Il sacubitril/valsartan nelle attuali linee guida è indicato in pazienti scompensati con persistenza di sintomi, già in trattamento ottimale e in terapia con un ACEi o un sartano. L’agenzia italiana del farmaco (AIFA), per la prescrivibilità, prevede che il paziente abbia effettuato una terapia con i suddetti farmaci di almeno sei mesi. L’update americano suggerisce che, se opportuno, è possibile iniziare il trattamento direttamente con sacubitril/valsartan per poterne beneficiare da subito. In tal caso bisogna prestare maggiore attenzione ai valori di pressione arteriosa, alla funzione renale e agli elettroliti ed iniziare dal dosaggio più basso. Mentre in pazienti che già facevano ARBs o ACEi e tolleravano dosaggi moderati-alti di questi farmaci, senza avere episodi d’ipotensione, è possibile iniziare direttamente dal 49/51 mg bid.
Gli inibitori del SGLT2 riducono il rischio di eventi maggiori in pazienti scompensati, indipendentemente dalla presenza di diabete mellito. Il meccanismo non è ben chiarito, ma questo farmaco determina diuresi osmotica, natriuresi, diminuzione della pressione arteriosa e della stiffness e il passaggio del metabolismo cardiaco basato su chetoni.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo della riparazione percutanea dell’insufficienza mitralica funzionale, l’update sottolinea come sia necessario effettuare una terapia medica ottimale, per avere i vantaggi della suddetta procedura. Infatti, nel 2018 sono stati pubblicati due grandi trial clinici randomizzati, il MITRA-FR (Percutaneous Repair with MitraClip Device for Severe Functional/secondary MR) e il COAPT (CV Outcomes Assessment of the MitraClip Percutaneous Therapy for HF Patients and Functional MR) che hanno mostrato dei risultati divergenti: nel primo studio non sono stati osservati dei benefici rilevanti dal clipping della mitrale, mentre nel secondo c’è stata la riduzione dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco e della mortalità dei pazienti scompensati sintomatici con insufficienza mitralica di 3-4+ tipo. Altre interessanti sezioni sono discusse nell’update americano, assolutamente da leggere per migliorare la nostra pratica clinica nell’ambito dello scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta.

Fonte: Maddox et al 10.1016/j.jacc.2020.11.022.