Ma è vero che gli integratori, se non fanno bene, sicuramente non fanno male?

Sempre più frequentemente si ricorre all’utilizzo di sostanze di origine vegetale a fini salutistici, nella convinzione che una sostanza naturale possa essere ugualmente efficace a livello terapeutico e preventivo ed avere effetti nocivi inferiori al farmaco di “sintesi” o chimico. Così sempre più spesso capita che oggi un Medico di Famiglia riceva richieste del tipo: “Dottore, mi potrebbe prescrivere qualcosa di naturale che mi aiuti per la mia (esempio) insonnia?” oppure “La mia amica assume per la sua insonnia un “integratore” naturale, il XYXYXY; potrei assumerlo anche io?” Questa comunque rimane una situazione augurabile perché, in realtà, è molto frequente che si assumano questi prodotti di origine vegetale, percepiti dai consumatori come “integratori” più che come “xenobiotici”, direttamente su autoprescrizione magari indotta da consigli di amici o da suggestioni pubblicitarie.

Così non stupisce che In Italia, secondo quanto riportato da Feder-Salus-Associazione Nazionale Produttori Prodotti Salutistici, il mercato degli integratori ha sfiorato i 3 miliardi di euro senza tener conto dei prodotti di erboristeria e delle migliaia di prodotti acquistati on line  e che  il 65% degli Italiani adulti ha utilizzato almeno un integratore ma molti ne consumano oltre 5, tanto che la media italiana pro-capite è di 2,5 integratori per persona! Appare del tutto evidente che questi dati di mercato configurano un problema per la salvaguardia della salute degli utilizzatori di piante officinali in quanto i dati di fitovigilanza dimostrano che l’uso di questi preparati è associato ad un rischio di reazioni avverse spesso non percepito dai pazienti, sia per gravità sia per probabilità del rischio stesso: infatti i  farmaci fitoterapici o “integratori” contengono comunque principi attivi che a dosi opportune possono avere effetti terapeutici ma, se utilizzati in combinazione con altri farmaci, potrebbero indurre effetti di sommazione o di interferenza terapeutica, senza considerare che l’assorbimento da parte dell’organismo può indurre fisiologicamente  effetti inaspettati, indesiderabili, non prevedibili. Questi warning finora erano frutto di buon senso e di deduzioni logiche fondate sulla conoscenza della farmacologia; ma ora abbiamo a disposizione delle evidenze scientifiche che ci consentono di abbozzare e promuovere  buone prassi EBM derivate.

In un recente studio Aznar-Lou (1) ha analizzato 864 prescrizioni rilasciate a 820 pazienti rilevando una prevalenza di potenziali interazioni nel 49% dei casi. Età avanzata e alto livello culturale o di educazione erano fortemente associati con un maggiore rischio di potenziali interazioni, mentre non è stata trovata una relazione diretta tra aumentato rischio ed altri fattori come etnia, stato civile, cittadinanza, BMI ed attività fisica.

L’autore conclude che i professionisti della salute devono essere consapevoli dell’assunzione di altri prodotti quando prescrivono un nuovo farmaco o integratore alimentare, specialmente alla popolazione anziana ed alla popolazione con alto livello di educazione. Ma nella considerazione esperienziale che in Italia consumano molti integratori  anche classi di popolazione con un livello non alto di educazione  e che comunque il rischio 1:2 di potenziali interazioni è troppo alto e predispone il prescrittore a ricadute medico legali, io mi limito a ricordare che un MMG prescrittore di poli-terapia combinata con integratori deve implementare le proprie competenze formative in farmacodinamica (già di suo fondamentale per la de-prescrizione o riconciliazione terapeutica!). In alternativa, conviene rispolverare la vecchia mission della medicina pratica: Primum, non nocere!.

Enzo Pirrotta

 

Bibliografia

Aznar-Lou I. et all: Prevalence of medication-dietary supplement combined use and associated factors: Nutrients 2019;11