Ma la vitamina D serve o non serve?

A margine della revisione della nota 96, pubblichiamo un contributo originale del Collega Marco Cambielli sullo spinoso argomento, disponibile anche su www.snamid.it, il rinnovato sito nazionale della SNaMID che vi invitiamo a visitare e seguire sempre.

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Le schede tecniche dei preparati farmaceutici di vitamina D recano l’indicazione: Trattamento della carenza di vitamina D nell’adulto. La sua prescrizione   per la fragilità ossea in adulti sani  a carico del SSN è stata regolata dal 2019 da un nota, la nota 96, aggiornata in questi giorni

Le modifiche introdotte con l’aggiornamento della Nota 96 sono le seguenti:

  • introduzione della nuova categoria di rischio “persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio”;
  • riduzione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio associate, necessario ai fini della rimborsabilità;
  • specificazione di livelli differenziati di vitamina 25(OH)D sierica in presenza di determinate condizioni di rischio (ad es. malattia da malassorbimento, iperparatiroidismo) già presenti nella prima versione della Nota;
  • aggiornamento del paragrafo relativo alle evidenze più recenti sopracitate e inserimento di un breve paragrafo dedicato a vitamina D e COVID-19;
  • introduzione di un paragrafo sui potenziali rischi associati all’uso improprio dei preparati a base di vitamina D.

Le modifiche in senso restrittivo della determina AIFA si basano su alcune recenti pubblicazioni, ovvero due ampi studi clinici randomizzati, uno pubblicato sul Nejm nel 2022 e uno su Jama nel 2020. Entrambe le ricerche hanno concluso che la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2000 UI die di colecalciferolo) e per diversi anni (oltre cinque anni nel primo studio e tre anni nel secondo) non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi. Questi risultati si sono confermati anche tra i soggetti con livelli più bassi di vitamina 25(OH)D. 

    Questi risultati, secondo la prof Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia, "mostrano che da sola non previene fratture, e questo è vero perché la fragilità ossea può esser dovuta anche a carenze nutrizionali nel corso di tutta la vita e ad altre patologie, cosa che lo studio non considera.

 La nuova determina Aifa precisa inoltre che la letteratura scientifica sull'utilizzo contro il Covid-19 mostra come "l'efficacia della vitamina D sia stata smentita da studi progettati e condotti in modo corretto" e che "non esistono elementi per considerarla un ausilio importante". Riguardo l’utilizzo nel Covid-19  l’Agenzia fa notare che "Nonostante i dati epidemiologici che sembravano legare il contagio e la gravità del Covid alla carenza di vitamina D, l'efficacia della vitamina D nella lotta al Covid è stata smentita da studi progettati e condotti in modo corretto" e "al momento attuale non esistono elementi per considerare la vitamina D un ausilio importante per la lotta contro il coronavirus".  In questi studi, però, precisa la professoressa Colao "sono stati arruolati pazienti che si sono ammalati di Covid e a cui è stata data vitamina D in aggiunta alle terapie. La supplementazione non ha mostrato benefici, ma non stupisce che una cosa che serve alla prevenzione, se usata come cura, non abbia effetto". In qualsiasi caso ,afferma la presidente degli endocrinologi, è importante, "come sottolinea anche Aifa, non sottovalutare i rischi di sovradosaggio e di uso improprio dei preparati a base di vitamina D"

Ma la vitamina D è da sempre usata per fratture dovute a osteoporosi, ma non solo.   "Capisco – comunica  la professoressa Colao - il ragionamento economico alla base della nuova determina, ma è miope dal punto di vista clinico: la Vitamina D in circolo è un parametro di buona salute, mentre la sua carenza è legata a un elevato livello infiammatorio nell'organismo, con tutte le malattie collegate. E' un composto che ha recettori in tutte le cellule, il suo deficit è correlato allo sviluppo di tumori, al peggioramento di obesità e diabete, all'aumento dell'ipertensione". D'altronde oggi assorbiamo molta meno vitamina D rispetto a decenni fa. Sulla utilità della vitamina D c’è da registrare una conferma recentissima ,pubblicata in questi giorni sugli Annals of Internal Medicine sul ruolo della vitamina D nei soggetti a rischio di diabete (Anastassios G et al. https://doi.org/10.7326/M22-3018). Riguardo la prevenzione del passaggio da prediabete a diabete, la riduzione maggiore (76%) è stata osservata in pazienti con un livello sierico di 25-idrossi vitamina D di 50 ng/mL (125 nmol/L), risultato di cui bisogna tenere conto osservando che in soggetti obesi, come può essere un prediabetico, l'obesità sopprime l'attivazione della vitamina D bioattiva. La perdita di peso aumenterà i livelli di vitamina D e ne aumenterà l'attività, quindi la perdita di peso può beneficiare in questi soggetti maggiormente. I valori da raggiungere indicati in questo studio comunque sono   ben al di sopra rispetto a quelli indicati dalla nuova versione della nota 96 per la prescrizione a carico del SSN della vitamina D. che comporta una  riduzione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio associate, necessario ai fini della rimborsabilità.

In conclusione occorre prendere atto delle decisioni dell’Ente regolatore, ma non dimenticare l’utilità della vitamina D non solo nei bambini, ma anche negli adulti, e considerare che i criteri economici riguardo la disponibilità del SSN  stanno diventando sempre più preminenti : per una gestione attenta, sia pure articolata, di diversi stati patologici il cittadino deve sborsare di tasca propria quello che lo Stato non concede, perché, nel caso della vitamina D essa continua a servire, in molti casi.

Marco Cambielli