Ipertensione nell'anziano

E’ una delle questioni più aperte e dibattute tra la classe medica specialmente da quando le vigenti Linee Guida europee hanno, da un lato, determinato i differenti targets terapeutici auspicabili per la coorte degli adulti e quella degli anziani ma, dall’altro, hanno lasciato alla responsabile decisione del curante la continuazione della terapia anti-ipertensiva nell’ultraottantenne. Questa responsabilità è stata declinata da alcuni come correlata al grado di fragilità dell’anziano per cui è stato suggerito un indicatore, lo score di Charlson, per orientare la scelta del curante relativa a quale soggetto trattare.

Legenda: La somma dei punteggi determina l'aspettativa di vita e permette di prendere una decisione prima di intraprendere un trattamento particolarmente aggressivo. Ad esempio, se si pone il caso di trattare una neoplasia maligna in un paziente con scompenso cardiaco e diabete, occorre considerare che i rischi e i costi di una terapia potrebbero essere superiori ai vantaggi che il paziente può ottenere. Nonostante l'ampiezza del range, uno score superiore a 5 è, in genere, espressione di importante impegno clinico.

 Questa soluzione, peraltro, pur consentendo di continuare a trattare la maggior parte degli anziani che insistono sotto il cut off di 5 dello score, appare autoreferenziale, non validata e comunque discutibile sul piano etico: mancano dati EBM atti a consentire decisioni o riconciliazioni terapeutiche costruite su solide basi. Ora abbiamo a disposizione qualche elemento in più, anche se forse non sufficientemente dirimente, per poter decidere circa la continuità terapeutica anti-ipertensiva nel paziente anziano: è stato infatti pubblicato lo studio di Mancia (1), uno dei membri della Task Force che redige le Linee Guida ESC, che avena lo scopo di valutare la relazione tra aderenza con farmaci antiipertensivi e il rischio di morte nei soggetti fragili rispetto ai non anziani .

L'analisi è stata eseguita separatamente in pazienti con uno stato clinico buono, medio, scarso e molto scarso, come valutato da un punteggio che ha dimostrato di essere un sensibile predittore di morte nella popolazione italiana. Rispetto ai pazienti con bassissima aderenza al trattamento antiipertensivo (<25% del tempo di follow-up coperto da prescrizioni), quelli con elevata aderenza (> 75% del tempo coperto da prescrizioni) hanno mostrato un rischio inferiore di mortalità cardiovascolare e per tutte le cause in ciascun gruppo, anche se questa differenza diminuisce progressivamente (-44%, -43%, -40% e -33%) dallo stato clinico buono a molto scarso.  Seguire, quindi, in modo regolare la terapia antipertensiva aiuta anche gli anziani più fragili (dai 65 anni in su), specie i più sani, a vivere più a lungo. Pur se lo studio ha arruolato circa 1.300.000 pazienti e , a mio parere, sono necessari ulteriori conferme, in conclusione possiamo dire che solo le preferenze di un paziente informato sembrano essere una motivazione professionalmente ed eticamente valida che sostenga una consapevole decisione di sospendere una corretta terapia anti-ipertensiva nell’anziano, nella considerazione che, comunque, quel trattamento determina sempre una diminuzione di almeno un terzo del rischio di mortalità per tutte le cause, anche le meno  preventivate e  attese quali il Covid 19 (2)

Enzo Pirrotta

Bibliografia

  1. Hypertension 2020. Doi: 10.1161/HYPERTENSIONAHA.120.14683 https://doi.org/10.1161/HYPERTENSIONAHA.120.14683 , pubblicato l’8 giugno 2020

    2. Gao C, Cai Y, et al. Association of hypertension and antihypertensive treatment with COVID-19 mortality: a retrospective observational study. European Heart Journal 2020. Doi: 10.1093/eurheartj/ehaa433