Rapporto tra la carica virale e gravità del quadro clinico del CoVid-19

La carica virale è una misura del numero di particelle virali presenti in un individuo. In base al presupposto che la carica di RNA virale sia correlata con alti livelli di replicazione virale (1), la comprensione della relazione tra cinetica di carico dell'RNA virale e gravità della malattia nei pazienti con COVID-19 ha prove di evidenza ancora frammentate. La dose iniziale di virus e la quantità di virus che un individuo ha in qualsiasi momento della malattia potrebbero peggiorare la gravità di COVID-19.  I dati sull’epidemia in Cina suggeriscono che la carica virale è più elevata nei pazienti con malattia più grave (2) e che i livelli di RNA virale sono più alti nelle persone con COVID-19 subito dopo la comparsa dei loro sintomi (3).

L’ipotesi che la quantità di esposizione al virus all'inizio dell'infezione - la dose infettiva - possa aumentare la gravità della malattia ed essere anche collegata a una maggiore carica virale è supportata da alcune evidenze. Uno studio pubblicato su Lancet  Infectious Disease (2) presenta i risultati dell’analisi di 76 soggetti affetti da COVID-19 confermata al momento del ricovero mediante RT-PCR. La carica virale media dei casi gravi era circa 60 volte superiore a quella dei casi lievi, suggerendo che cariche virali più elevate potevano essere associate a esiti clinici gravi. La stratificazione dei dati in base al giorno di insorgenza della malattia al momento del campionamento ha evidenziato che i valori di DCt (Ct camp – Ct rif) nei casi gravi sono rimasti significativamente più bassi per i primi 12 giorni dopo l'inizio rispetto a quelli dei casi lievi corrispondenti. I casi lievi avevano una clearance virale precoce, e il 90% di questi pazienti erano RT-PCR negativi entro il decimo giorno dall’esordio. Al contrario, tutti i casi gravi erano ancora positivi al decimo giorno successivo all'esordio. Complessivamente, i risultati dello studio indicavano che i pazienti con COVID-19 grave tendevano ad avere un'alta carica virale e un lungo periodo di diffusione del virus. I risultati suggeriscono che la carica virale di SARS-CoV-2 potrebbe essere un marcatore utile per valutare la gravità e la prognosi della malattia.

Gli alti livelli di particelle SARS-CoV-2 rilevate all'inizio dei sintomi suggeriscono che il virus possa essere trasmesso facilmente tra le persone, anche quando i sintomi sono relativamente lievi (3). Questa è la sintesi a cui è arrivato un altro gruppo di ricerca (3) evidenziando come i livelli di RNA virale siano più alti nelle persone con COVID-19 subito dopo la comparsa dei loro sintomi. L’analisi di 23 su 30 pazienti sottoposti a screening per l'inclusione (età media 62 anni) ha dimostrato una carica virale mediana elevata nella saliva durante la prima settimana dall'insorgenza dei sintomi, con una successiva diminuzione nel tempo. In uno dei soggetti, l'RNA virale è stato ancora rilevato 25 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi. L'età avanzata del campione studiato correlava con una maggiore carica virale. Questi risultati sono coerenti con quelli di un altro studio pubblicato sul New England Journal of Medicine sui tamponi orofaringei di persone affette da COVID-19 (4). 

L'incapacità di distinguere tra virus infettivi e non infettivi (neutralizzati con anticorpi o morti) rimane una grande limitazione della rilevazione dell'acido nucleico. Nonostante questa limitazione, date le difficoltà nel coltivare virus vivi da campioni clinici durante la pandemia da COVID-19, l'uso della carica di RNA virale come surrogato rimane plausibile per la generazione di ipotesi cliniche (5). Le evidenze suggeriscono un'associazione della dose virale con la gravità della malattia. Tuttavia, la relazione è limitata dalla scarsa qualità di molti studi, dalla loro natura retrospettiva, dalle dimensioni ridotte dei campioni osservati e dal potenziale problema della distorsione da selezione.

Gli operatori sanitari possono essere esposti più spesso a COVID-19 a causa dei numerosi e successivi contatti con individui infetti. Durante questa epidemia, i casi in fase iniziale potrebbero non essere riconosciuti, in particolare i soggetti con sintomi lievi o quando l'uso di misure protettive non è ottimale. Questi dati orientano a incrementare gli sforzi per ridurre la frequenza e l'intensità dell'esposizione a SARs-CoV-2 per favorire una riduzione della dose infettiva e per avere casi meno gravi.

Paolo Spriano, Vice-Presidente SNaMID

Fonte: UNIVADIS, 14/4/2020