Pasqua senza Roberto

Ad un mese dalla scomparsa del nostro Presidente, Roberto Stella, primo di una catena ininterrotta di cui ancora non si riesce a vedere la fine, vogliamo ricordarlo con una riflessione di Enzo Pirrotta, Collega ed amico comune, estendendo il rammarico e la speranza di fondo a tutti quelli che in questo periodo si sono sacrificati fino all'estremo nel loro lavoro.

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PASQUA 2020, un mese senza Roberto: sospesi tra resistenza e resurrezione.

In illo tempore, in una chiesa gremita, potevamo ascoltare e testimoniare dal vivo la sequenza pasquale della messa che ci faceva riflettere sul fatto che “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della Vita era morto ma ora, vivo, trionfa”. E San Giovanni Paolo II, in occasione della Pasqua del 2000, all’alba di un nuovo millennio, chiosava “Sì, la vita e la morte si sono affrontate, e la Vita ha trionfato per sempre. Tutto è nuovamente orientato alla vita, alla Vita eterna!”. Da un mese, però, il canto degregoriano che celebra una Italia che per l’ennesima volta “resiste” (W l’Italia che resiste) sembra affermare l’idea che il senso della nostra “esistenza“ sia delimitato dalla resistenza al “nemico” di turno allo scopo di affermare un modello antagonista: insomma, l’eroe simbolo della resistenza diventa colui che, sempre vivo oltre la morte, lotta insieme a noi per il trionfo di valori tutt’altro che eterni.

Io invece preferisco pensare che oggi Roberto è vivo e siede in mezzo a noi per continuare a ragionare pacatamente del suo Vangelo costruito intorno ai valori eterni della professione, della formazione, della medicina fondata sulla relazione tra persone.

La professione: Il dizionario latino assegna all’etimologico “profiteor” il significato di “dichiarare, riconoscere, confessare, denunciare, dire apertamente, promettere, impegnarsi, offrire“. Si professa quindi una fede in quanto si aderisce in toto a ciò in cui si crede,  fino alla offerta della propria vita per testimoniare la propria fedeltà ad un giuramento, quello di Ippocrate che riassume tutti i principi deontologici ed etici secondo i quali un medico deve agire e dai quali deve farsi ispirare in tutti i suoi comportamenti, anche al di fuori di quello che è l’ambito prettamente lavorativo, (e martirio non significa forse testimonianza?). E l’occasione mi è propizia per ricordare a tutti noi quali siano i principi fondanti (o le regole di ingaggio) che disciplinano l’appartenenza all’ordine dei medici, inteso alla stregua di un ordine monastico chiamato al rispetto dei voti:

«Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

  • di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
  • di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
  • di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
  • di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
  • di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
  • di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica;
  • di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
  • di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
  • di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;
  • di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
  • di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
  • di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
  • di prestare assistenza d’urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente;
  • di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
  • di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.»

La formazione: Ad un così alto scopo di vita (non chiamiamolo missione, però: ad una missione si è infatti chiamati o vocati, uno scopo di vita si sceglie in autodeterminazione) bisogna peraltro prepararsi o formarsi. E Roberto amava sostenere e ripetere, quasi un mantra, che un medico deve avere e ricercare tre competenze

  • sapere (la formazione non è solo informazione, anzi talora occorre essere formati per non essere male informati)
  • saper essere (la formazione per saper essere …un buon professionista)
  • saper fare (la buona pratica professionale)

Al contrario di quanto comunemente e polemicamente si sostiene per cui chi sa fa e chi non sa insegna, Roberto ci hai dimostrato cosa sapevi essere! Perdona l’irriverenza: tu non ci facevi, c’eri proprio!

La medicina fondata sulla relazione tra persone:   Al di là  della definizione WONCA, secondo la quale la Medicina Generale si basa su un processo di consultazione unico fondato sulla costruzione di una relazione protratta nel tempo attraverso una efficace comunicazione tra medico e paziente Roberto promuoveva una medicina della persona intesa come una relazione tra persone (titolari dei diritti della persona)  ma non per ciò stesso una relazione fra pari in quanto relazione tra una persona competente (un MMG che sappia, sappia essere e sappia fare!) ed un’altra confidente in quella competenza e non già riconoscente nel senso di beneficiaria. In una ardita sintesi personale, direi che Roberto   riteneva necessaria una quarta competenza per la formazione del buon medico della persona o di famiglia (intesa come un insieme di persone che hanno in comune un cognome ed un vissuto): saper fare insieme. Per cui la prescrizione medica non diventa solo un ordine e/o un divieto, ma la comunicazione della migliore strategia condivisa (l’alleanza terapeutica), elaborata e proposta per quel determinato combinato disposto costituito dalle risorse della persona malata, dalla tipologia della malattia (o delle malattie?) e dalle risorse della comunità che assiste la persona malata. Una medicina personalizzata dunque da costruirsi non contro il metodo della medicina dell’evidenza, ma soltanto contro i suoi eccessi.

Ecco, in questo momento, tanto per cambiare, di transizione per la medicina generale sospesa tra la resistenza ad una emergenza, stavolta legata ad una pandemia virale e non ad un pandemonio strutturale, ed una auspicata resurrezione a vita metafisicamente eterna, mi sarebbe piaciuto avere ancora Roberto al comando dei resistenti. Devo accontentarmi invece di quanto contenuto nel suo testamento che ho avuto l’onore di conoscere in tanti anni di vita societaria, fiducioso che i tanti eredi elaboreranno insieme le migliori strategie possibili per onorarne le volontà. Roberto, grazie di esistere! E speriamo di continuare a resistere alla tentazione di mandare tutto al diavolo: la nostra estinzione equivarrebbe al tuo oblio! Ed invece amo pensarti tra i delegati partecipanti ai lavori per gli stati generali di una medicina universalmente eterna che si terranno al Nuovo Cinema Paradiso. Buon lavoro!

Enzo Pirrotta