Brain fog: l'importanza dei disturbi cognitivi nel post-Covid

Moltissimi pazienti usciti dauna infezione da Covid-19 lamentano disturbi cognitivi, confusione, difficoltà a trovare le parole e perdita di memoria, anche svariati mesi dopo la malattia. Questo quadro è stato definito "brain fog" o "nebbia mentale" da Nathalie Kubis (neurologa, dell’Ospedale Lariboisière di Parigi, dove è stato aperto un ambulatorio dedicato, ricercatrice dell'INSERM, analogo francese del CNR) che ha riferito un tasso di incidenza di circa il 40% dei pazienti ammalati, maggiore fra i pazienti ospedalizzati.

Questa la sintomatologia: difficoltà di concentrazione, passaggio continuo da una attività all’altra, anomie, impressione di avere il «cervello offuscato». Spesso i medici che prendono in carica questi pazienti riscontrano elementi di ansia, disturbi del sonno e una grande stanchezza. Questi sintomi, quando persistono a lungo, portano con sé una perdita di motivazione. Sotteso a questa costellazione di sintomi c'è il deficit attentivo più marcato in soggetti fortemente ansiosi o in donne che devono gestire troppe cose in contemporanea, oppure in associazione con una sindrome post-traumatica da stress.

Ancora non chiaro il meccanismo di azione, anche se la tempesta infiammatoria sembra in prima linea nel determinismo poiché le citochine rimangono in circolo per lungo tempo. E la citochina IL17, identificata nei pazienti che hanno avuto il Covid, è nota per essere più elevata nelle persone ansiose e predisposte all’ansia.

Altra ipotesi riconduce a una migrazione dei megacariociti fino al cervello in seguito a una risposta immunitaria eccessiva. Queste cellule provocano occlusioni a livello dei microcapillari cerebrali. Gli esperti sono giunti a questa conclusione sulla base dei rilievi autoptici nelle persone decedute e per analogia con quanto identificato nei reperti autoptici delle vittime di SARS-CoV-1, in seguito all'epidemia del 2003, che mostravano sequenze del genoma virale in tutta la corteccia cerebrale e nell'ipotalamo, mentre è noto il tropismo dei coronavirus umani per il lobo temporale, anche se non vi sono riscontri autoptici riferiti a Sars-CoV-2. I mediatori infiammatori risultano infine più concentrati nelle aree limbiche, nell’ippocampo e nei gangli della base, il che è compatibile con i deficit neurocognitivi di tipo attentivo, mnestico ed emotivo. Alcuni studi, inoltre, mettono in correlazione la tipologia di assistenza ventilatoria e i danni cognitivi: chi ha beneficiato di assistenza intensiva mostrava prestazioni migliori. Anche la durata di una eventuale ipossia gioca un ruolo importante nella determinazione del danno residuale.

Nella pratica ambulatoriale la prima azione sarà volta a rassicurare il paziente limitando l'ansia legata alle "conseguenze" dell'infezione, è comunque utile verificare i farmaci assunti dal paziente: alcuni ampiamente prescritti, tra i quali gli ansiolitici, inducono sonnolenza. Inoltre va esclusa la presenza di una malattia neurologica, neurodegenerativa o di una parasonnia.

I disturbi attentivi possono essere testati facilmente attraverso semplici test pratici. Per esempio, presentare una lista di parole e poi richiederla alla fine della visita, oppure chiedere di picchiare sul tavolo quando viene enunciato un numero pari sono compiti semplici che possono fungere da screening per decidere chi deve essere inviato al neurologo.

La gravità dei disturbi si apprezza in base agli effetti. I segnali d’allarme sono non riuscire più a lavorare, dimenticare cose importanti o non seguire le regole dell’igiene quotidiana. In prima istanza limitare un approccio farmacologico, fornendo consigli su uno stile di vita più idoneo, come ad esempio

  • bandire l’alcol
  • diminuire il consumo di sostanze eccitanti come té e caffé
  • evitare l’attività fisica e l’uso di schermi dopo le 18
  • dormire in una camera fresca (intorno ai 19°C o anche meno)
  • durante la giornata, evitare il multitasking e focalizzarsi su un compito per volta
  • praticare il rilassamento o la meditazione.

 Solo la presenza in test cognitivi semplici di anomalie persistenti dovrà indirizzare il paziente a consulenza specialistica con eventuale effettuazione di una RM, un Eeg o talora una PET.

Jaywant, A., Vanderlind, W.M., Alexopoulos, G.S. et al. Frequency and profile of objective cognitive deficits in hospitalized patients recovering from COVID-19. Neuropsychopharmacol. (2021).