Anti-ipertensivi e rischio cancro

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo originale del Collega Enzo Pirrotta, cardiologo ed ex MMG, su un tema spesso salito agli onori della cronaca anche non specializzata.

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Sulla scorta del clamore suscitato da alcuni articoli, anche recenti, di stampa che hanno sbattuto il mostro calcio-antagonisti in prima pagina perché sospettato di indurre tumore del polmone, è il caso di fare chiarezza sul possibile ruolo oncogenetico degli anti-ipertensivi

 

Si sussurrava da molto tempo circa la possibile oncogenicità dei farmaci ipertensivi ma nel 2010 Bangalore (1) ha potuto confutare l'ipotesi che l'impiego di sartani, ACE-inibitori, beta-bloccanti, diuretici e calcio-antagonisti comporti un aumento relativo del 5-10% del rischio di cancro o di morte correlata al cancro. Da allora, però, si sono susseguite comunicazioni allarmanti soprattutto a carico dei calcio antagonisti.

Nel 2013 una metanalisi di Christopher (2) aveva potuto dimostrare un maggior rischio di cancro al seno tra le donne che utilizzavano, da almeno dieci anni, calcio-antagonisti a breve durata d’azione (OR 3,7 per carcinoma duttale invasivo e OR 3,6 per carcinoma lobulare invasivo). Gli intervalli di confidenza erano ampi, ma non si sovrapponevano al punto di unità. Nessun aumento del rischio di cancro al seno è stato invece osservato tra le donne che assumevano diuretici, beta-bloccanti, ACE-inibitori o bloccanti del recettore dell'angiotensina. Quattro anni dopo però: “contrordine, compagni! “. Raebel (3) ha dimostrato che un prolungato uso di calcio-antagonisti non aumenta il rischio di cancro al seno nelle donne mature mentre un prolungato uso di Ace-inibitori potrebbe avere al contrario un effetto protettivo.

All’inizio del 2018 al meeting annuale dell’AACR di Chicago Wang (4,5) ha presentato i dati di uno studio prospettico di coorte condotto su 145551 donne in post-menopausa (età compresa tra 50 e 79 anni) per verificare se l’uso degli antiipertensivi potesse associarsi ad un aumentato rischio di cancro. Solo i calcioantagonisti a breve durata di azione hanno dimostrato una relazione diretta con un aumentato rischio di cancro del pancreas.  In Aprile Katrina Mountfort (6) ha ritenuto che i dati del lavoro di Wang hanno una grande rilevanza epidemiologica considerato il largo uso di calcioantagonisti a breve durata di azione nella terapia dell’ipertensione arteriosa ma ha ritenuto di circoscrivere all’interno dei soli Stati Uniti l’ambito territoriale per cui le evidenze di Wang possono trovare applicazione, considerando i troppi diversi contesti con  analoghe coorti di altri paesi  che non hanno la medesima esposizione a tutti i fattori di rischio per quello specifico tumore.

E veniamo all’attualità più recente che ha trovato tanto spazio sulle prime pagine dei quotidiani nazionali: dai sussurri alle grida. La metanalisi di Rotshild  (7) ha sancito che l’uso di calcio-antagonisti è associato ad un aumento del 15% del rischio di cancro del polmone con un possibile effetto dose-risposta nella considerazione che tale associazione è più probabile dopo almeno quattro anni di trattamento. Il dato finale (RR di cancro del polmone pari a 1,15) è una media tra i risultati di 10 studi ( 6 di coorte e 4 caso-controllo) ma la relazione diretta tra consumo di calcio-antagonisti e cancro del polmone è stata registrata solo in 5 dei 10 studi considerati. Gli autori quindi concludono che, considerando l’utilizzo diffuso dei calcio-antagonisti e la scarsità di dati sugli effetti sfavorevoli non cardiovascolari a lungo termine  a fronte della numerosità di dati sugli effetti favorevoli cardiovascolari , occorrono ulteriori studi prima che le Agenzie del Farmaco prendano in materia una  qualche posizione. In ogni caso gli autori definiscono i loro dati come “motivo di   preoccupazione” e tanto è bastato alla stampa non specializzata a diffondere, aumentando la percezione di allarme, quel motivo di preoccupazione.

In realtà dall’analisi ragionata sul rischio di cancro associato all’utilizzo di calcio-antagonisti, mi sembra che da questa disanima bibliografica si possa concludere che tale rischio si minimizza per trattamenti continuativi fino a tre anni con calcio-antagonisti a lunga durata di azione! In ogni caso, questa  è una conclusione sicuramente figlia della logica, del buonsenso e del compromesso, ma che rischia di  compromettere gli esiti di una buona terapia anti-ipertensiva fondati sulla continuità a lungo termine (e dopo tre anni di terapia che si fa?)   e sulla aderenza del paziente (quale paziente lettore di stampa quotidiana e informato acriticamente del rischio assumerebbe i calcio-antagonisti, seppur per un periodo temporale limitato?)

Successivamente, la vicenda si è vieppiù complicata. Hicks (8) ha pubblicato uno studio per cui gli assuntori da più di cinque anni di ACE-inibitori, ma non di sartani, hanno un rischio relativo di cancro del polmone di 1,16 (cioè aumentato del 16%). Anche qui ci sarebbe un effetto dose-risposta, perché la bradichinina che per effetto del farmaco si accumula nei polmoni avrebbe bisogno di tempo per indurre effetti lesivi. Ma ancora una volta Hicks, pur rilevando un allarme statistico, deve invocare ulteriori studi di conferma in mancanza di una valutazione globale riferita alla mortalità per tutte le cause del rapporto rischio/beneficio di una terapia con ACE-inibitori: e noi, nelle more, sospendiamo il giudizio e non ci avventuriamo sulla scivolosa strada della equivalenza/equipollenza tra ACE-inibitori e sartani, sancita dalle Linee Guida per lo scompenso cardiaco cronico o l’insufficienza renale.  Lo studio, infine, sottovaluta, nella correzione statica di esclusione, il ruolo del fumo, il principale fattore di rischio per il cancro del polmone, per cui i risultanti potrebbero essere inattendibili e impuri.  Ancora una volta, molto rumore per nulla, forse. Ma dopo questo rumore dobbiamo pretendere un documento di consenso che ci  permetta di utilizzare al meglio i farmaci anti-ipertensivi, un po’ sulla falsariga di quello redatto a proposito delle statine che ha sancito che gli effetti positivi globali di questi  farmaci superano di gran lunga quelli negativi ( tra cui, ricordiamo, l’aumento del rischio relativo di diabete e cancro) Il rischio che vediamo, in questa Babele delle evidenze, è che forse potrebbe diminuire l’incidenza delle morti oncologiche ma certamente potrebbe aumentare quella delle morti cardiovascolari.

Infine per quanto riguarda la relazione tra uso di diuretici tiazidici e cancro della pelle sollevata da due studi danesi (9,10) per fortuna la nota AIFA 17/1/2018ha fatto chiarezza mettendo in risalto come questa relazione sia in realtà influenzata da molteplici fattori variabili (il fenotipo cutaneo, la meteorologia, l’assunzione di altre terapiwe come i contraccettivi orali….) , e  correli direttamente solo con  la dose cumulativa di tiazidici ( almeno 50.00 mg di idroclorotiazide). E una dose cumulativa di 50.000 mg, almeno per quel che concerne la terapia anti-ipertensiva, corrisponde a 12,5 mg di HCTZ assunti giornalmente per circa 11 anni!

Per ultimo mi chiedo come mai, viceversa, altre notizie più positive circa la prevenzione del cancro non vengano pubblicizzate con la stessa enfasi utilizzata a proposito di presunti effetti collaterali imputati ad alcuni farmaci. Avete per esempio letto qualcosa sulla recente comunicazione di Matthews (11) che ha dimostrato come l'attività fisica è risultata associata a un minor rischio di cancro al colon negli uomini (8% per 7,5 Met ore alla settimana; 14% per 15 Met ore alla settimana), di carcinoma mammario (6% -10%) e di carcinoma endometriale (10% -18%) nelle donne, di carcinoma renale (11%-17%), di mieloma (14%-19%), di cancro al fegato (18%-27%) e di linfoma non-Hodgkin (11%-18% nelle donne).
La risposta è stata di forma lineare per metà delle associazioni e non lineare per le altre. Forse, rispolverando il famoso detto per cui la  stampa pubblica solo la notizia dell’uomo che morde il cane, di questa cosa si parlerebbe solo se il SSN denunciasse i sedentari , in quanto corresponsabili dell’insorgenza di una patologia oncologica!

Enzo Pirrotta

 

Bibliografia

  1. Bangalore: ANTIHYPERTENSIVE DRUGS AND RISK OF CANCER: NETWORK META-ANALYSES AND TRIAL SEQUENTIAL ANALYSES OF 324 168 PARTICIPANTS FROM RANDOMISED TRIALS  Lancet Oncol.2011 Jan;12(1):65-82. doi: 10.1016/S1470-2045(10)70260-6. Epub 2010 Nov 29
  2. Christopher I. Li, Janet R. Daling, Mei-Tzu C. Tang Use of Antihypertensive Medications and Breast Cancer Risk Among Women Aged 55 to 74 Years JAMA Intern Med. 2013;():-.doi:10.1001/jamainternmed.2013.9071
  3. Raebel et al Risk of Breast Cancer With Long-Term Use of Calcium Channel Blockers or Angiotensin-Converting Enzyme Inhibitors Among Older Women Am J Epidemiol.2017 Feb 15;185(4):264-273. doi: 10.1093/aje/kww217.
  4. America Cancer Society. Cancer Facts & Figures 2018. Available at: cancer.org/research/cancer-facts-statistics/all-cancer-facts-figures/cancer-facts-figures-2018.html(accessed June 21, 2018).
  5. Wang Z, White D, Cheng L, et al. The association between antihypertensive medication, sRAGE, and risk of pancreatic cancer: Results from the Women’s Health Initiative Study. Presented at: American Association for Cancer Research (AACR) Annual Meeting; April 14–18, 2018. Chicago, IL, US.
  6. Mountfort Touch Medical Media, UK April 14–18, 2018 Insights into CCBs and pancreatic cancer presented at American Association for Cancer Research Annual Meeting, Chicago, IL, US,.
  7. Rotshild The risk for lung cancer incidence with CCB: a systematic review and mata-analysis of observational studies Drug Saf 2018; 41:555-564
  8. M.Hicks et al Angiotensin converting enzyme inhibitors and risk of lung cancer: population based cohort study BMJ 2018; 363 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.k4209 (Published 24 October 2018)
  9. Pedersen et al., Hydrochlorothiazide use and risk of nonmelanoma skin cancer: A nationwide case-control study from Denmark. J Am Acad Dermatol 2018; 78:673-681
  10. Pottegard A, Hallas J, Olesen M, Svendsen MT, Habel LA, Friedman GD, Friis S. Hydrochlorothiazide use is strongly associated with risk of lip cancer. J Intern Med 2017; 282: 322–331
  11. Matthews J Clin Oncol. 2019. Doi: 10.1200/JCO.19.02407