Coronarovirus e RSA

E’ ormai una triste pagina di cronaca, purtroppo anche giudiziaria, quella che ha registrato un alto indice di letalità per Coronavirus tra gli ospiti di residenze per anziani.

Molte le possibili cause, tra le quali anche la particolare fragilità e vulnerabilità della coorte ricoverata presso quelle strutture. Un recente studio retrospettivo multicentrico italiano (1), però, apre il dibattito ad altre considerazioni che impongono un ripensamento profondo dell’attuale modalità di assistenza all’anziano.

Nel 2018 sono state raccolte informazioni sulla prescrizione di farmaci, sulle malattie e le condizioni sociodemografiche dei residenti in case di cura e/o di riposo per anziani in tre diversi momenti.  Si è potuto rilevare che il numero dei farmaci assunti è significativamente più alto tra i ricoverati non affetti da demenza rispetto a quelli diagnosticati per tale forma morbosa. In particolare, benzodiazepine, inibitori di pompa protonica e lassativi sono risultati i farmaci più prescritti nei pazienti senza demenza; antipsicotici, lassativi, benzodiazepine, antiaggreganti ed inibitori di pompa protonica erano i farmaci maggiormente utilizzati nel gruppo senza demenza. La tipologia dei farmaci prescritti lascia dunque immaginare che il razionale della terapia sia di assicurare alla coorte esaminata la miglior qualità più che quantità di vita possibile: una scelta sicuramente legittima che, però, rischia di venir meno alle sue motivazioni, visto il numero di interazioni farmacologiche potenzialmente gravi che sono state registrate.

Queste sono state 1216 (64,7%) nel gruppo senza demenza e 518 (74,2%) nel gruppo con demenza, dato in controtendenza con il numero dei farmaci prescritti, aggiustato per analisi di età, sesso e indice di Charlson (leggi nota in calce): rispettivamente 7 (con punte fino a 9) nei pazienti con demenza e 8 (con punte fino a 11) nei pazienti senza demenza. Il rischio di interazioni farmacologiche non si spiega o correla solo con il numero dei farmaci assunti; ha senza dubbio un ruolo  anche la tipologia del farmaco assunto (è sicuramente diverso prescrivere un antipsicotico piuttosto che una benzodiazepina, o comunque giudicare assolutamente indispensabile un antiaggregante, per esempio). Ora possiamo quindi capire meglio quale rischio aggiuntivo abbia significato per la coorte ricoverata in RSA l’assunzione di terapia anti-coronavirus, già di suo gravata di un certo rischio intrinseco.

In conclusione, l’ampia variabilità e tipologia tra le case di cura ed una prescrizione potenzialmente inappropriata suggeriscono la necessità di raccomandare uno standardizzato approccio alla revisione, riconciliazione o deprescrizione, delle terapie con antipsicotici, antiulcera, antiaggreganti e lassativi nel paziente complesso, ospite delle case di cura per anziani: e il medico di medicina generale è tuttora il responsabile della gestione di un suo paziente ricoverato presso una RSA!

Enzo Pirrotta

Bibliografia

  1. Pasina L et al: Drug prescriptions in nursing home residents: an italian multicenter observational study Eur J Clin Pharmacol, pubblicato on line il 20/4/2020

______________________________________________________________________________