Riscontro di CoVid-19 nelle feci di soggetti negativizzati

Già segnalammo in un precedente articolo Attenzione alla diarrea, sulla base di due studi pubblicati in Cina il riscontro della presenza di sintomi intestinali in pazienti affetti da coronavirus. Una ricerca, attualmente al vaglio del Journal of Virology, svolta dal dottor Claudio Giorlandino, ginecologo, Direttore Sanitario Gruppo Sanitario Altamedica e direttore generale dell'Italian College of Fetal Maternal Medicine,  condotta su 15 soggetti con tampone rinofaringeo positivo, ha dimostrato che la presenza del virus a livello dell'apparato respiratorio decade piuttosto rapidamente, mentre nel 73% dei casi a distanza di due settimane dal primo tampone positivo il virus permane nelle feci dei soggetti nonostante il secondo tampone sia stato negativo; nel 40% dei soggetti il virus è stato riscontrato nelle feci fino a 40 giorni dopo. Questo tenderebbe a dimostrare i soli due tamponi negativi e la convalescenza non sarebbero garanzia di non infettività.

Rimane da dimostrare l'infettività della componente virale rinvenuta a livello intestinale, dopo il passaggio attraverso la barriera gastrica, anche se la persistenza della sintomatologia diarroica potrebbe essere un elemento avvalorante l'ipotesi della persistente infettività. Occorrerebbe quindi in futuro tenere conto di questa possibilità di contagio oro-fecale, se dimostrata su un campione maggiore, e quindi contemplare come parametri di avvenuta guarigione non solo la scomparsa delle IgM e la presenza delle IgG, ma anche l'assenza di virus nelle feci.